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La parata finale

depressioneLeggo sul giornale che il portiere della nazionale di calcio tedesca si sarebbe suicidato gettandosi sotto un treno. La notizia turba anche chi come me non segue da vicino il mondo dello sport. Si è portati a pensare che un atleta di successo, con una moglie e una figlia adottiva di otto mesi, dovrebbe essere immune da pensieri di morte. Poi continuando la lettura scopro che una figlia natuale di soli due anni era morta tre anni fa per una malformazione cardiaca. E allora siamo portati a dire: “ecco perchè è successo …”. Ma forse ci sono anche altre motivazioni. La moglie ha detto: «Non voleva che la sua depressione diventasse pubblica perchè temeva per la sua vita, privata e sportiva, temeva che, nel momento in cui si fosse saputo della sua depressione ci avrebbero tolto Leila (la figlia adottiva), aveva paura di quello che la gente potesse pensare quando hai adottato una figlia e sei depresso». Sembra che il giocatore non avesse espresso queste paure e che, in un biglietto d’addio, abbia chiesto scusa di questo riserbo.
Invece, depressione e riserbo non vanno d’accordo. La depressione quale atmosfera plumbea che cala sulla tua vita, per reazione a qualcosa di tragico, o anche per una predisposizione interiore, ha bisogno di essere diradata con l’aiuto di qualcuno. Spesso basta anche raccontarla, descriverla nei particolari, per poterla affrontare e combattere.
A volte non si ha solo paura delle conseguenze della depressione, ma del fatto che essa semplicemente ci sia e appaia ai nostri occhi e – riteniamo – anche a quelli degli altri, come signora della nostra vita. Al punto che non siamo più liberi di fare le cose le più semplici e quotidiane ma è lei, la signora, ad imporsi, a scegliere e ad agire al posto nostro.
Credo che spesso ciò che un malato può pensare è davvero lo specchio dei pensieri di chi incontra. Alla paura per una malattia qualsiasi infatti, si aggiunge l’imbarazzo tipico dei disturbi che toccano la mente e lo spirito.
Forse Enke ha pensato: “mi vergogno perché voi potreste vergognarvi di me”.
Ciò che di vergognoso c’è nella malattia è pensare che essa non possa essere curata ovvero ritenere che con essa non si possa imparare a convivere.Ciò vale per il malato e vale soprattutto per chi gli passa accanto.

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